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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito http://www.repubblica.it/2009-01-13 Ieri le prime avvisaglie, oggi ko. Uffici scollegati. Impossibile accedere ai registri degli indagati e stampare certificati penali Giustizia, in tilt sistema informatico Polemiche sulla "Cancelleria Nazionale" I togati del Csm chiedono chiarimenti su "raccolta, gestione e conservazione" Giustizia, in tilt sistema informatico Polemiche sulla "Cancelleria Nazionale" Il tribunale di Roma MILANO - Il sistema informatico che collega tutti gli uffici dei tribunali italiani è rimasto bloccato da questa mattina fino alle 17,30. Il Rug (rete unica della giustizia) ha sede a Napoli. Paralizzata l'attività dell'amministrazione giudiziaria sulla rete informatica. Uffici scollegati, impossibilitati a dialogare fra loro. Impossibile accedere ai registri degli indagati e stampare certificati penali. Indisponibili, quindi, gli accessi a internet e il servizio di posta elettronica degli uffici. Bloccato anche il collegamente con il casellario giudiziale e il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Già nella giornata di ieri si erano avute le prime avvisaglie, poi da questa mattina il blocco totale e da qualche minuto è ripreso un funzionamento a singhiozzo. Dal ministero della Giustizia fanno sapere di aver risentito delle disfunzioni della rete, ma di non sapere ancora quali siano le cause del problema "ancora da accertare". In questi giorni Repubblica ha rivelato il progetto del governo, che vuole creare una "cancelleria nazionale virtuale". Sul progetto, hanno preso posizione i membri togati del Csm in rappresentanza di tutte le correnti: ""Notizie di stampa e le dichiarazioni di alcuni colleghi - rilevano - evidenziano la necessità di acquisire chiarimenti sulle modalità di raccolta, gestione e conservazione informatica dei dati processuali delle procure della Repubblica e la salvaguardia delle esigenze di riservatezza dell'attività istruttoria e del loro esclusivo controllo da parte autorità giudiziaria procedente". Dunque, "al fine di garantire al tempo stesso efficienza al sistema e la tutela principio dell'autonomia e indipendenza della giurisdizione - concludono - si chiede l'apertura pratica presso la Sesta Commissione per gli opportuni approfondimenti". (13 gennaio 2009)
Intervista al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro "E' giusto migliorare la giustizia ma con regole precise" "A rischio la libertà dei cittadini il segreto sia tutelato dai pm" di GIUSEPPE D'AVANZO
Armando Spataro ROMA - Nasce una "cancelleria nazionale virtuale" che inquieta. Il protocollo d'intesa, firmato dai ministri Brunetta (Innovazione) e Alfano (Giustizia), prevede la "trasmissione telematica delle notizie di reato tra le forze di polizia e procure della Repubblica". Si può così "automatizzare l'alimentazione del registro delle notizie di reato e la costituzione del fascicolo del pubblico ministero e del giudice delle indagini preliminari". I dati raccolti, "predisponendo una porta di dominio attestata presso il ministero della giustizia", saranno condivisi dall'intera rete delle forze di polizia che avranno accesso ai "dati di sintesi delle notizie di reato". Mettiamola così, allora, tutti i documenti d'indagine della giustizia italiana finiranno in un unico canestro. I procuratori, responsabili delle indagini, non saranno in grado di garantire la sicurezza delle informazioni raccolte ancora protette dal segreto istruttorio. L'archivio della "cancelleria virtuale" sarà nella disponibilità delle forze di polizia, e quindi del governo che gestirà il sistema attraverso una società privata. Abbiamo chiesto al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro se non ci sono sufficienti ragioni per preoccuparsi. "Voglio essere chiaro. Va apprezzato lo sforzo del governo di modernizzare, con l'innovazione tecnologica, l'organizzazione e il funzionamento della giustizia italiana. Non si può che apprezzare lo sforzo di informatizzazione di tutte le procedure. Non dubito che questo programma sia il frutto delle sollecitazioni - vecchie di anni - di magistrati e avvocati e una testimonianza delle migliori intenzioni e di una buona volontà. E tuttavia credo che non si debbano accantonare alcune perplessità che giudico pertinenti e rilevanti". Vediamo. Quali sono? "Ripeto, ben venga lo sforzo di automatizzazione del sistema, ma non credo che vada sottovalutato il rischio di un conflitto tra la tecnologia e alcuni principi irrinunciabili del codice di procedura penale. Non possiamo ignorare l'esistenza di una soglia invalicabile tra ciò che non è coperto da segreto - e può essere messo a disposizione delle forze di polizia e degli attori del processo - e ciò che è segreto e deve rimanere nella disponibilità esclusiva del magistrato del pubblico ministero, come impone la legge". Il ministro Brunetta sostiene, con buone ragioni, che il protocollo consente di "superare le scartoffie, i faldoni, le cancellerie polverose". "Ma mica stiamo discutendo di questo. Non è in discussione l'informatizzazione. Discutiamo di altro: dove raccogliere quei dati; come; chi ne deve essere il responsabile; chi ha diritto ad accedervi. A questa regolamentazione di una materia molto sensibile occorre porre attenzione. La trasmissione telematica delle notizie di reato è un segmento di un ampio progetto, chiamato Re. Ge. Web, che informatizzerà il registro generale delle notizie di reato. Ora tutte le procure, per i loro archivi informatici, devono preparare ogni anno un documento programmatico per la sicurezza, indicando i nomi degli amministratori di sistema, la policy delle società private deputate al trattamento dei dati giudiziari e le soluzioni di sicurezza dalle stesse adottate. In tale ottica, la procura di Milano ha chiesto da tempo al ministero i requisiti del consorzio di imprese che si occuperà del Re. Ge. Web e, nonostante le promesse, siamo ancora in attesa dei documenti. Voglio dire che una razionalizzazione tecnologica, indispensabile, non può farci dimenticare che anche l'innovazione ha bisogno di regole, responsabilità chiare, certezze, rigore, attendibilità. La lotta al terrorismo ci ha insegnato che è certo possibile raccogliere dati come se fossero gocce di pioggia su ognuno e ogni cosa, ma ci ha posto di fronte al dilemma di come la sicurezza debba sapersi conciliare con la libertà e la privacy dei cittadini". In questo caso, mi pare, c'è anche dell'altro. Le chiedo: consentire "all'intera rete delle forze di polizia" l'accesso ai "dati di sintesi delle notizie di reato" non espone l'ordine giudiziario al controllo dell'esecutivo? "E' un problema che esiste. E' una tendenza che già ha fatto capolino nella legislazione". A che cosa si riferisce? "Alla legge (3 agosto 2007, n. 124) che ha riformato i servizi segreti. La riforma prevede oggi che, autorizzata dal procuratore della repubblica, l'intelligence abbia 'l'accesso diretto al registro delle notizie di reato anche se tenuto in forma automatizzata'. Francamente non se ne vedo l'utilità. Gli scopi perseguiti dai servizi di informazione non legittimano, a mio avviso, l'adozione di procedure diverse da quella previste dal codice di procedura penale: ho difficoltà a immaginare le ragioni per cui un procuratore dovrebbe concedere l'autorizzazione a quell'accesso. Per gli stessi motivi non comprendo perché le forze di polizie dovrebbero avere accesso e condividere, attraverso una cancelleria nazionale addirittura, le notizie di reato di tutti i distretti giudiziari. La notizia di reato e la relativa documentazione sono custodite - impone la legge - presso l'ufficio del pubblico ministero. Anche nell'interesse dell'indagato e della sua privacy e non solo delle indagini Non vedo l'utilità di manomettere quel principio". Le si potrebbe opporre: per rendere più efficiente il coordinamento e l'efficacia delle investigazioni. "Il coordinamento delle indagini ha già oggi le sue procedure. E, dove sono rispettate, danno buoni frutti. Non è una buona obiezione. Vuole sapere qual è la verità?". Qual è? "Non c'è alcun motivo per 'centralizzare' queste informazioni. Il sistema bilaterale di oggi - pubblico ministero, polizia giudiziaria - è il più adeguato a proteggere tutti i "beni" in gioco: la riservatezza della privacy dell'indagato; l'efficacia dell'investigazione; il segreto dell'indagine. Si informatizzi, allora, con firme certificate e crittografia questo rapporto bilaterale, almeno finché il segreto non venga meno". L'esclusivo rapporto a due - pubblico ministero, polizia giudiziaria - non ha impedito, rimprovera il ministro Brunetta, che "manine e manone" si siano tuffate in carte segrete. "A maggior ragione, non si capisce perché una 'centralizzazione' ovvierebbe al problema. E' vero, che la fuga di notizie, come l'intrusione telematica, è sempre possibile, ma nel sistema bilaterale di oggi i possibili responsabili della violazione del segreto sono di numero circoscritto. Nell'altro caso, no. Nessun sistema informatico è sicuro, nonostante password e altre tecniche, mentre può esserlo l'organizzazione degli uomini che lo gestiscono". L'accuseranno di essere arcaico, lo sa? "Lo so, ma invito tutti a riflettere al di là della facile e ineludibile passione per l'innovazione tecnologica. Ripeto, non penso che dietro questo progetto di 'cancelleria nazionale virtuale' ci sia un'intenzione maligna, ma di certo c'è un pericolo: scindere la titolarità e la responsabilità di un'informazione sensibile come la notizia di reato dagli uomini che gestiscono il sistema telematico. Non è soltanto in ballo la possibilità di accertare che cosa è accaduto e per la responsabilità di chi, ma il diritto alla privacy dei cittadini. Di questo parliamo, non di modernità e arcaicità. A meno che non mi si dica che, in nome della modernità, dovremmo essere disposti a svendere la nostra libertà". (13 gennaio 2009)
IL COMMENTO La grammatica violata di FRANCO CORDERO BENEDETTO Croce, coltissimo e ricco signore con largo ascendente nella cultura novecentesca, aveva manifestato qualche vaga simpatia al fascismo emergente, castigatore delle mattane sovversive, ma cambia avviso vedendo come il castigamatti s'impadronisca dello Stato, in barba all'etica liberale. Da allora impersona un implicito dissenso, rispettato dagli occupanti perché ogni soperchieria sul papa dell'idealismo italiano guasterebbe l'immagine fascista; Mussolini non è Hitler. I numeri bimestrali della "Critica" hanno devoti lettori, bollettino d'una sommessa opposizione. Privatamente circolano battute spiritose. Sentiamone una, cosa sia il regime mussoliniano: un governo degli asini "temperato dalla corruzione". Era formidabile conversatore, spesso feroce, ad esempio nell'arrotare un ex pupillo rumoroso e rampante diagnosticandogli "priapismo dell'Io". Varrà la pena spiegare in qual senso sia peggiore l'attuale governo onagrocratico (dal latino "onager", asino selvatico). Qui notiamo come la natura asinina sfolgori nel protocollo d'intesa 26 novembre 2008: i partner sono due ministri; lo scassasigilli era segretario particolare del sire d'Arcore, padrone d'Italia nei prossimi 12 o 17 anni se gli spiriti animali gli durano; l'altro, ministro innovatore dalle frequenti epifanie, ha appena annunciato che domerà gli statali col bastone e la carota. I due s'intendono sul seguente disegno: allestire una memoria informatica universale dove confluiscano tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria (il grosso delle indagini preliminari); e la covi il ministro, eventualmente mediante appalti esterni (in lessico tecnicoide outsourcing); why not? (logo d'un allegro affarismo), l'affidi a imprenditori della galassia Mediaset, visti i luminosi precedenti Telecom. Il lettore domanda perché definiamo asinina un'idea sinistra (tra Gestapo e Millenovecentottantaquattro, l'incubo narrato da George Orwell): l'asino è animale mite; vero, ma ignorante e luoghi comuni probabilmente falsi lo dicono poco intelligente. Qui sta l'aspetto onagrocratico, e tutto sommato benefico, svela piani che menti più sottili dissimulano. Sappiamo dove miri Re Lanterna, tre volte vittorioso nella fiera elettorale grazie all'ordigno televisivo che consorterie tarate gli hanno venduto: pretende nello Stato un dominio quale esercitava nell'impero privato (e presumibilmente lo esercita, essendo piuttosto anomala la metamorfosi dei vecchi pirati in asceti); i limiti normativi gli ripugnano; caudatari in divisa o pseudoneutrali chiamano "decisioni" gesti padronali nemmeno pensabili in chiave politica. Gli sta a pennello la definizione crociana (priapismo dell'Io), con una terribile differenza in peius: quel letterato era persona d'intelletto fine, narciso inoffensivo, acuto patologo del fascismo; lui no, ha plagiato parte d'Italia e vuol comandarla tutta, attraverso l'abbassamento dei livelli mentali. Appena rimesso piede al governo, s'è proclamato immune dai processi penali, quindi invulnerabile su ogni episodio passato o futuro, qualunque sia il nomen delicti; i suoi piani escludono futuri rendiconti elettorali pericolosi, ma l'organismo collettivo ha ancora difese immunitarie (Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura); e volendole disarmare, blatera d'una giustizia da riformare, l'ultima cosa della quale occuparsi mentre il paese va in malora, affogato nella crisi planetaria, e lui s'ingrassa. Aborre l'azione penale obbligatoria e il pubblico ministero indipendente: lo vuole diretto dal governo; il che significherebbe impunità pro se et suis, con duri colpi all'avversario molesto. Tale l'obiettivo ma l'idea è cruda: gliela contestano anche degli alleati; e i negromanti indicano una via indiretta, meno vistosa, lasciare intatto l'ufficio requirente, affidando le indagini alla polizia, diretta dal potere esecutivo. Quante volte l'ha detto: diventerà avvocato dell'accusa, ridotto alla performance verbale o grafica; cervelli polizieschi investigano e la relativa mano raccoglie le prove (sotto l'occhio governativo). A quel punto sarà innocua la bestia nera. Il tutto sine strepitu: due o tre ritocchi appena visibili; se vi osta l'art. 109 Cost. ("l'autorità giudiziaria dispone direttamente" dell'omonima polizia), basta toglierselo dai piedi; l'art. 138 ammette delle revisioni; nelle due Camere se la combina quando vuole, avendo i numeri; e poco male fosse richiesto un referendum confermativo. Nessuno gli resiste nelle tempeste mediatiche. Con tre reti televisive vola sulla luna. Riconsideriamo l'aspetto asinino. Il protocollo 26 novembre 2008 grida quel che Talleyrand e Fouché, molto più fini, terrebbero sub rosa, e lo fa in termini grossolani, ignari dell'elementare grammatica legale. Non è materia disponibile mediante circolari o intese ministeriali. La regolano norme codificate: la documentazione degli atti d'indagine avviene in date forme (art. 373); e sono coperti dal segreto finché "l'imputato non ne possa avere conoscenza" (art. 329); e la polizia deve spogliarsi dei verbali, reperti, notitiae criminis, trasmettendoli al pubblico ministero (art. 357). Secondo le attuali regole, i due confabulanti esigono dei delitti dalla polizia (artt. 326, 379-bis, 621 c. p.). E chi escogita questo serbatoio penale, violabile dagli hackers ma comodo in mano al ministro e servizi segreti? I campioni della privacy, furenti quando, straparlando al telefono, finiscono nella memoria acustica corruttori, corrotti, concussori, pirati societari e simili faune. (13 gennaio 2009) |
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